Quello che resta del lago di Aral…

Il lago d’Aral è un argomento tutt’altro che felice. È il protagonista di uno dei peggiori disastri ambientali del Pianeta. Si trova in Asia Centrale, diviso tra Kazakhstan e Uzbekistan ed è “nutrito” da due fiumi affluenti: Amu Darya e Syr Darya.

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Tutto è iniziato negli anni Sessanta, quando i sovietici decisero di trasformare l’arido deserto in cui giaceva placidamente il lago d’Aral in campi infiniti di coltura intensiva. Già qui sembra assurdo che un deserto possa dare frutti e infatti esperti sconsigliarono di procedere con questo folle piano, ma ormai il dado era tratto. Avrebbero costruito dei canali di irrigazione che prelevavano l’acqua dai fiumi affluenti del lago e che avrebbero irrigato coltivazioni di riso, di cereali, di cotone. Tutte coltivazioni che – si sa – hanno poco bisogno d’acqua. In mezzo al deserto.

I canali per l’irrigazione vennero costruiti in modo approssimativo, quasi tutti non impermeabilizzati, con perdite enormi di acqua e quella poca che non si disperse, evaporò.

L’acqua del lago, non più rifornita, iniziò a calare di un 1 metro all’anno e negli anni ’90 il suo volume si era ridotto del 70%. Il lago d’Aral è destinato a scomparire presto. Si calcola entro il 2020.

Parlo di tutto questo perché l’ho visto in prima persona. Il “non lago d’Aral” è stata una delle mie tappe in Uzbekistan. Volevo vedere. Ci sono andata ed emotivamente non è stato facile.

La cittadina di Moynaq sorgeva esattamente sulle sponde del lago fino agli anni ’60 e viveva delle attività di pesca che impiegavano circa 60.000 pescatori. Ora da Moynaq l’acqua del lago dista circa 100 km.

Arrivare a Moynaq è un colpo al cuore. Sembra di essere a Pripyat. Un cartello sbiadito avvisa i visitatori che sono nella patria del pesce.

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Un museo accoglie i turisti mostrando quello che era l’industria locale fino al disastro.

E poi. E poi si vedono le barche… Numerosi motopescherecci a strascico e petroliere dormono arrugginiti sulla sabbia. Non andranno più da nessuna parte. L’odore del ferro è forte nell’aria. Le navi sono scritte, graffitate. Una riporta una scritta in francese: “L’eau n’oublie pas son chemin”, l’acqua non dimentica il suo cammino.

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Non c’è alcun limite, si può salire sulle barche anche se la noia e i guai le hanno corrose ed è pericoloso.

Il sole cocente e la sabbia del deserto sono dei beffardi moniti per i visitatori. Come a dire: questo succede se tocchi la natura… È un giro impegnativo, il caldo è incredibile, il deserto cuoce e si fa fatica a camminare nelle dune di sabbia.

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Scatto e scatto ancora, una lacrima scende spontanea. Questo luogo è incredibile.

Risalgo in macchina e puzzo di ferro arrugginito. Ancora la sento quella puzza e ancora mi ricorda tutto quello che il lago d’Aral ha subìto e con lui un intero ecosistema. 500 specie di uccelli, 200 di mammiferi, 100 di pesci e migliaia di insetti e invertebrati unici della regione del lago d’Aral. Sono tutti estinti. Non ci sono più.

Non c’è più l’acqua. Non c’è più niente.

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8 pensieri riguardo “Quello che resta del lago di Aral…

    1. Assolutamente! Ora come ora so che solo alcuni tour molto specializzati portano fino alle sponde uzbeke del lago d’Aral. Bisogna andare in jeep perché ritirandosi il lago ha lasciato il pantano e quindi non è nemmeno facile arrivare all’acqua

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    1. L’odore di ferro arrugginito è acido, carico e pungente ma allo stesso tempo dolce. È dannatamente stucchevole e non ti molla. Mi ricorda all’inizio l’odore di alcuni frutti acerbi, ma a cui si aggiunge una componente metallica che pesa sulla percezione dell’odore come un macigno, di fatto copre i tratti dolci facendoli emergere solo raramente.

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