Itinerario della quarta odissea giapponese – 2a parte

La prima parte la trovate qui.

 

7° giorno – Mercoledì 21 dicembre – Nagoya

Mi sveglio frastornata. Ho ricevuto dei messaggi che non mi aspettavo. Cerco di non pensarci, di non cascarci, di non crederci. Non ci riesco. Non resisto ad essere felice. Mi sbaglierò, come sempre. Non resisto mai alla tentazione di essere felice. È la mia debolezza. Questa fastidiosa e irrefrenabile tendenza a sperare.

Il mio programma era di visitare il Museo del Gas, ma la giornata è super primaverile, il Museo invece super lontano e io devo essere a Mikawa-Anjo (300 km di distanza) per le 16/17. Devo incontrare il mio amico Hiro che finisce di lavorare alle 16.00.

Allora cammino per Shitamachi, cammino un casino, mi fermo a chiaccherare con un’altra signora anziana (non contenta della mia nuova amica incontrata a Matsushima) che mi offre un’arancia. Un’altra. E io accetto con tutto l’entusiasmo del mondo. A) è un regalo B) ho tanto bisogno di vitamina C.

Ogni volta che vado in Giappone io temo parecchio per la mia alimentazione. Il cibo è molto sano di base, ma mi mancano sempre moltissimo frutta e verdura che costano un occhio della testa. Mi è capitato di andare in un ristorante e divorare quella poca insalata accorgendomi dopo che era solo un piccolo contorno a della bella carne che non avevo nemmeno visto. Mi faccio paura quando mi viene voglia di insalata!

Sgranocchio la mia arancia e camminando camminando arrivo ad un incrocio poco lontano da Ueno. E io quell’incrocio lo conoscevo… ma certo! Tre anni prima ero diventata pazza a cercare un negozio di libri usati (dal momento che quello splendido rifugio per bibliomani alla stazione di Ueno non c’era più. Lacrime per quel posto meraviglioso pieno di pagine e polvere). Ecco. Non l’avevo trovato il negozio. Ora però che ho una bella base di giapponese individuo subito il negozio, ma non ho tempo. Mi maledico da sola. E poi mi ricordo dei due libri di bonsai in albergo che dovrò portarmi per tutto il Giappone…  Non tutto il male vien per nuocere. Amo i proverbi. Piccole e grandi certezze.

Sono in ritardo. Porca paletta. Il ritardo non va bene in Giappone. No no. Arrivo a Ueno, non faccio a caso al treno per la fretta e per sbaglio prendo un treno più veloce che mi porta alla stazione giusta in molto meno tempo rispetto alla Yamanote. “Chi no menå no streecå” dice la mia nonna, “chi non fa nulla non fa mai danni”. Stavolta, niente danni.

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Io vi consiglio MOLTISSIMO di scegliere lo Shinkansen Kodama. È vero che ci mette molto tempo, ma si ferma a ShinFuji dove c’è una vista eccezionale del Fuji. Non ci credete? Guardate qui, il video l’ho girato io dal treno.

Hotel a Mikawa-Anjo: AB-Hotel mikawa-anjo (Come ho già scritto qui, questa catena di alberghi è perfetta per qualità/prezzo, ma il sito è in giapponese, prenotate su Booking)

Succede che ci sono due alberghi IDENTICI in 50 metri. Non scherzo. IDENTICI. La scorsa volta che ero stata qui l’albergo l’aveva prenotato il mio amico Hiroyuki, questa volta l’ho prenotato da sola.

Succede che mi manda un messaggio su Line (il Whatsapp giapponese) e mi chiede dove sono. Rispondo “Alla reception, tu dove sei?” “Alla reception”. Certo di due alberghi diversi, ma uguali.

Come consuetudine Hiro si presenta con un mucchio di regali allucinanti, adoriamo farci gli scherzoni. Io gli porto un omino di sumo che ondeggia da mettere in macchina, poi delle carta igienica con disegnati gli schemi del sudoku, poi gli porto un cerchietto di Natale con le cornine da renna, un copriscarpe per andare ai festival nei giorni di pioggia e altre cazzate. Lui si presenta con: occhiali modello Filini (giuro che non riuscivo a camminare con quegli occhiali), occhiali con tergicristallo a molla incorporato e maniche con finti tatuaggi. Ridiamo alle lacrime e andiamo in giro conciati così come se niente fosse.

Prima di andare a cena, mi porta al Mega Don Quijote. Tutti i miei amici giapponesi adorano portarmi al DonQui. Uno perchè divento scema tra le corsie di questo posto assurdo che vende DI TUTTO e perchè adoro cercare le stranezze, le invenzioni tipicamente giapponesi. Io credo che semplicemente adorino vedermi così felice. Lì scopro il vestito da carnevale da porro e decidiamo di fare una festa a tema verdura prima o poi. Quando torno giuro che me lo compro. Continuo a pronunciare le parole MEGA DON QUIJOTE! Hiro ride alle lacrime, indico i miei occhiali con tergi e gli dico “Mega Don Quijote” (Megane in giapponese significa occhiali) non lo tengo più. Che battuta orrenda, ma lui non c’è abituato. Piange. Gli presto i miei occhiali con tergi.

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Hiroyuki mi porta a cena dai nostri amici Nobuyuki e Toshiko che hanno un ristorante in zona. L’ultima volta che li ho incontrati è stato difficile: non parlavano inglese e io non parlavo giapponese. Rimango a bocca aperta. Toshiko in due anni parla perfettamente inglese. Mi dice: “non avevamo mai conosciuto uno straniero prima, mi sei piaciuta così tanto che volevo parlare con te“. Stavolta sono io a piangere. Inizia qui un’amicizia che non vi posso nemmeno raccontare quanto è bella.

Tiro fuori i cerchietti di Natale per tutti, i nasi da renna e che inizi la festa. Pochi giorni prima di partire la mia insegnante di giapponese ci ha martellati con un video di un tizio che in stazione dice ad un altro “trafficata la stazione stasera eh” “eh già“. Ce l’ha fatto vedere così tante volte quel dialogo che lo so a memoria. Faccio partire il video e ripeto i dialoghi. Ridiamo che mi fa male la pancia.

Saluto queste persone fantastiche e Hiro mi riaccompagna all’albergo mentre in macchina parte il solito CD di Cristina D’Avena con cui Hiro non manca mai di accogliermi. Cantiamo Denver e ci diamo appuntamento per la mattina seguente.

8° giorno – Giovedì 22 dicembre

Indosso le mie maniche con i finti tatuaggi e incontro Hiro alla stazione di Mikawa. Andiamo insieme alla prima tappa di oggi: il museo dei treni di Nagoya dal nome impossibile: SCMAGLEV and Railway Park.

Il museo è una FIGATA colossale. C’è un giochino da fare, trovare tutte le varie postazioni con i timbri per riempire una cartolina che viene consegnata all’ingresso. È zeppo di treni di ogni epoca e categoria, tutti da visitare.

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Ogni postazione è poi interattiva, ad esempio c’è la macchinetta a cui fare il biglietto del treno, ma non è semplicemente in esposizione… si fa il biglietto del treno che poi va inserito in un vero tornello che lo oblitera davvero.

Il diorama è SENSAZIONALE, meno grande di quello del Railway Museum di Tokyo, ma denso di dettagli. Non scrivo troppo su questo museo perchè mi piacerebbe fare un singolo blogpost dedicato ai treni in Giappone.

Ci sono poi delle postazioni con il simulatore di guida dei treni. Volete che non provi? Io amo guidare. Prendo velocità – l’omino che mi ha aiutata a partire non mi sta più osservando – devo anche essere brava a fermarmi al punto giusto della stazione e in tempo ed essere in orario. Una stazione manco la vedo da quanto sto andando veloce… finisce la simulazione e l’omino controlla i miei tempi. È allibito… “un po’ troppo veloce“. Non siamo mica qui a pettinare le bambole!

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Mangiamo al bar del museo e ci sono persino le bottigliette d’acqua a forma di treno. Non resisto, ne prendo una a forma di treno giallo! Come cos’è il treno giallo?? È il Dottore dei Treni, quello che va aggiustare i convogli quando si rompono. Il mio amico Hiro una volta lo ha visto! Che invidia! Anche io voglio vedere il dottore dei treni, il Doctor Yellow!

Prendiamo la metro con due signore cinesi con bastone per selfie in mano e con una voce altissima. Alla nostra stazione scendiamo con entusiasmo. Prima tappa Mos Burger. Io vado pazza per l’hamburger di riso e Hiro lo sa.

Hiro ordina un “succo qualcosa” (non ho capito che diavolo fosse) alla menta. “Ci serve bello colorato” non capisco perchè… poi tira fuori gli occhiali/cannuccia e ci facciamo delle foto sceme. Mangio felice il mio hamburger con gli occhiali colorati di verde.

Andiamo a vedere il castello di Nagoya! Ci andiamo in taxi. Hiro parla con il tassista, un omino molto simpatico che vede il mio amico dallo specchietto. Non mi vede. Hiro gli racconta che vengo dall’Italia, bla bla bla. Lo saluto, partecipo un minimo alla conversazione, ma lui ancora non mi ha vista in faccia. Sta guidando, giustamente. Arriviamo al Castello e lui si piazza a lato strada per farci scendere. Si gira. Mi vede. Salta sul sedile (i giapponesi a volte sono esagerati nelle reazioni) e mi dice “you, biutifuru“, che sarebbe “you beautiful“. Non me lo aspettavo. Per niente. Arrosisco e scendo dalla macchina. Hiro mi chiede scusa – come se ci fosse di cui scusarsi -, dice: “Sai che a Nagoya ci sono i giapponesi più sfacciati di tutto il Paese?“. Ridiamo.

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All’ingresso c’è il famoso portaombrelli (qui la mia nota figura of shit) e siccome nessun guardiano mi sta fissando ho il tempo per vedere come funziona, finalmente e fare un filmato esplicativo per la mia amica Gemma (se leggete la figura of shit, qui, capirete perchè). Ora che ho imparato sono una persona nuova! Il Castello è molto bello e c’è una mostra temporanea di ikebana, realizzata da un artista molto famoso (in Giappone). Hiro mi fa ridere sempre, è super simpatico. Mi dice: “Voglio vedere una fumetteria con te, che riesci sempre a trovare il lato magico e folle delle cose.

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Andiamo da Mandarake a Nagoya. Mandarake per me è come andare a Gardaland. Non ci dormo per notti intere se so che ci andrò. Guardiamo i giocattoli vintage, mi mostra dei personaggi della sua infanzia. Robe mai viste e se ve lo dico io che da bimba mi alzavo alle 5 del mattino a vedere i cartoni animati…

Sul treno del rientro verso l’albergo ci sono i sedili dei treni ribaltabili. Praticamente con una maniglia si può spostare lo schienale da una parte o dall’altra e girare il sedile, vuoi per la direzione del treno oppure per sederti vicino agli amici. La prima volta che ho visto che si poteva fare io sono rimasta di sasso. Ero con la mia amica Gemma e abbiamo letteralmente sussultato, è una cosa così semplice, ma allo stesso tempo così inaspettata…

Comunque ci sono questi sedili anche qui, si alza il mio dirimpettaio e si libera il sedile di fronte, guardo Hiro e lui mi guarda… ci siamo capiti subito e con che gioia ho finalmente potuto girare il mio sedile. Hiro era impegnato a farmi dei video (Uno lo potete vedere qui). Rido ancora.

Saluto Hiro, mi dice “kiotsukete kudasai“, fai attenzione, è preoccupato perchè come al solito correrò di qui e di là senza sosta. Grazie Hiro, sei un mito!!! Un Mega Mito!

9° giorno – Venerdì 23 dicembre

Parto per Takayama. È una meta molto classica per chi visita il Giappone, si trova in montagna. Ha molte case in stile tradizionale ed è zeppa di templi questa cittadina – in alcuni punti – sembra uscita da I sette samurai, certo, quando non c’era l’orda di turisti che troverete oggi.

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Comunque ci sono altri modi per raggiungere Takayama (ad esempio Tokyo – Kanazawa – Takayama) ma sono più lunghi e complicati. Andarci da Nagoya è la via più facile, il treno è diretto ed è molto luminoso con finestre ampie perchè il panorama lungo la strada è semplicemente mozzafiato! Vallate, fiumi e montagne. Chiedete assolutamente posto finestrino.

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Lascio il bagaglio all’hotel Rickshaw Inn, con sopresa: il receptionist è un ragazzo australiano, un figo che vi prego. All’epoca collaboravo con una rivista, come sente la parola giornalista non capisce più niente e mi dà un mucchio di informazioni. Bravo, grazie! La stanza è tradizionale, ma rumorosa perchè si trova vicino alla cucina comune e io vi sconsiglio tutta la vita di andare in un ryokan d’inverno a meno che non sia di un certo livello. Non c’è il riscaldamento e dopodomani è Natale.

Mollami però australiano che devo andare a Shirakawa-go in bus http://www.japan-guide.com/bus/shirakawago.html

Ci vuole un’ora di autobus per andare e una per tornare. Ne vale assolutamente la pena perchè questo villaggio è fatto interamente di casa antiche in paglia, è davvero unico. Quel giorno piove che non si ferma neanche una secondo, sono completamente fradicia, ma incurante direi, visto che la tranquillità, la serenità e la bellezza di questo piccolo villaggio sono tutto ciò che mi serve. Da visitare: villaggio di Ogimaki vicino a Shirakawa-go con casa Wada e Kanda, Museo di Hidano-Sato.

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Mi avevano detto di prendere l’autobus per salire fino alla cima della collina da cui si gode la vista dell’intero villaggio. Autobus? Si può fare tranquillamente a piedi, è una splendida passeggiata, io l’ho fatta persino sotto una pioggia che vi prego.

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Ritorno a Takayama presto perchè gli autobus successivi erano tutti pieni e io non ero riuscita a prenotare. Sono fradicia e ho bisogno di stare al caldo. Benissimo. L’albergo è freddo che mi viene male… però la stanza è carinissima. Accendo la stufetta (che è il motivo per cui vi dirò di non soggiornare mai nei ryokan d’inverno) e l’ambiente si scalda un attimo, ma non posso dire che ho caldo. Chiamo casa, fuori nevica e la scena è magica da questa finestrella in legno, mi faccio una doccia bollente, indosso il mio yukata e crollo di stanchezza.

10° giorno – Sabato 24 dicembre

Alla reception dell’albergo incontro due bimbe cinesi, stanno cantando “Pen Pineapple Apple Pen”. Non posso non aggregarmi e infatti non resisto e canto. Così ci trovano i loro genitori quando arrivano… cantiamo e balliamo. Saluto i miei nuovi amici cinesi e vado subito a vedere il ryokan della notte successiva per vedere se traslocare già la valigia. È una casa, non voglio disturbare nessuno, tornerò dopo, tanto mi cambia poco.

Parto per la visita di Takayama, rigorosamente a piedi: mercato del mattino (dalle 7 fino a mezzogiorno) di fronte a Takayama Jinja, la città vecchia, le distillerie di sake, Fuji Art Gallery, Hida Mizoku Kokokan (museo di archeologia), Takayama Museum of History and Art, Hachiman Shrine, Takayama Yatai Kaikan (museo dei carri del festival di Takayama).

Il Takayama Jinja non è spettacolare in sé, ma c’è un cortile interno meraviglioso. Mi siedo. Non ho le scarpe e ho i piedi freddi sul tatami gelido, guardo questi alberi armoniosi del cortile, spogli e i fiocchi di neve che cadono qua e là. Chiudo gli occhi e sogno di potermi sentire così sempre. Purtroppo ci sono un mucchio di turisti rumorosi, dura poco la pace.

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I turisti rumorosi sono poi il ricordo principale della città vecchia di Takayama e dopo aver comprato del sake decido che tutto quel casino non fa per me. Non sono pronta. Mangio dei dango alla piastra cucinati da un signore anziano e carinissimo, mangio anche del manzo di Hida (eh beh, semplicemente fantastico) e decido di seguire quello che sulla mappa si chiama “itinerario a piedi di Higashiyama”. È il mio.

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Si parte dal museo dei carri.

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Per i primi 3 templi incontro altre persone che fanno lo stesso percorso, poi mollano piano e piano e mi ritrovo da sola. I templi sono coperti di muschio, mi sembra di stare in un film, non vola una mosca, ogni tanto scende qualche fiocco di neve. Mi ero segnata un luogo sacro in particolare, ci tenevo, lì ho espresso un grande desiderio. Non è ancora ora che si avveri, ma del doman non v’è certezza. Mi scende una lacrima. Penso a lui. Mi blocco e penso “quante volte ripenserai a questo momento in futuro. Un momento fighissimo, perchè sai che lo vedrai e perchè anche lui ti vuole vedere”.

Avevo ragione. Continuo a pensare a quel momento. Come mi manca. Cerco di non pensarci più, ormai non posso fare niente.

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Il percorso comincia a perdersi, fatico a tenere traccia, ma poi mi ritrovo e a un certo punto finisco sulla montagna cittadina, cammino in salita, completamente sola nel bosco mentre nevica. Comincio ad avere molto freddo, sogno l’albergo ora e decido di andare, ma prima devo finire il mio itinerario che si perde in templi dove non trovo una sola traccia di passaggio umano.

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Arrivo al ryokan, la porta scorrevole dell’ingresso non è ermetica, anzi, è tutta consumata. Dentro c’è la stessa temperatura di fuori… Mi accoglie una nonnina, ovviamente l’inglese qui non è mai entrato neanche per sbaglio. La casa è immensa, completamente in legno, un mucchio di stanze. Mi accompagna alla mia, è enorme, c’è uno splendido tokonoma, ma anche qui niente riscaldamento. Il mio fiato diventa una nuvola nell’aria della stanza, non è un buon segno. Accendo immediatamente la stufetta, mi preparo un té e poi decido di provare ad affrontare la doccia.

Se non mi è venuta la polmonite qui, non mi verrà mai più.

Nel bagno con la doccia (separato dalla zona water) la finestra è aperta. Non riesco nemmeno a spogliarmi. Penso di svenire. Apro l’acqua completamente, 5 minuti e finalmente l’aria è calda di vapore. Mi ci fiondo. E poi tocca uscire… con i capelli bagnati perchè il lavandino con la presa elettrica è in corridoio… vorrei morire. Me li asciugo pregandoli praticamente “fate presto!

Non c’è nemmeno internet quindi è la notte perfetta per leggere. Mi alzo e spengo la stufetta (non mi fido a dormirci) e penso a domani mattina. Spero di svegliarmi viva.

Hotel a Takayama: Ryokan Yado Matsui 宿まつ井 (consigliato solo per l’estate!)

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