Giappone, Studio Ghibli e di quando ho presentato il film “La storia della principessa splendente”

L’anno scorso mi è capitata una cosa fighissima!

Sono stata contattata dallo staff di un cinema della mia città, l’unico indipendente che ancora resta fuori dal giro multisala e che propone film d’autore di un certo tipo. Insomma, ricevere un invito del genere da un cinema del genere è un vero onore.

In sostanza mi hanno chiesto di introdurre al pubblico l’ultimo film di Isao Takahata “La storia della principessa splendente”. Non si trattava però di un’introduzione da critico cinematografico, avrei dovuto mettere in relazione il film con le mie conoscenze di viaggio sul Giappone.

Quando ho ricevuto la mail di richiesta ho avuto un attimo di mancamento. Non sono famosa per credere in me stessa, anzi. Ho pensato “Perchè lo chiedono a me?” Poi però mi sono detta: potresti parlare per ore di Studio Ghibli (la casa di produzione del film)? Sì, anche per giorni. Potresti parlare per ore di Giappone? Anche per anni. Allora ho capito perchè lo hanno chiesto a me e ho accettato. A me che ho il presenzialismo di un lampione, l’egocentrismo di un tombino, la sicurezza di un bicchiere di gin tonic finito e abbandonato su un muretto il sabato mattina all’alba.

Scopro che sono stata segnalata da una conoscenza comune (che ringrazio infinitamente, grazie Fabio!) e così mi metto al lavoro per preparare la mia presentazione. Le idee sono da subito fin troppe. Mi ero detta: “In 15 minuti che cacchiarola dico??” e puntualmente finivo che ce ne volevano 45 di minuti. Ci mettevo più io del film.

Stranamente mi è piaciuto quello che ho scritto e vorrei riproporlo. Mi piace soprattutto l’analogia iniziale di quando sono approdata in Giappone per la prima volta e mi sono sentita come Chihiro quando arriva nella città incantata. Tutto sembrava avere una regola, tutti sapevano quale fosse questa regola e cosa fare. Tranne lei. Tranne me.

Vi ripropongo qui la presentazione. È andata bene anche se ero molto agitata e ho corso praticamente senza respirare. Mi è dispiaciuto, ma purtroppo è parte del mio carattere. Ero anche emozionata. L’avevo detto a pochi amici perchè non volevo sentirmi ancora più in imbarazzo.

A voi.IMG_8931


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La prima volta che sono stata in Giappone non avevo ben capito in cosa mi stavo cacciando.

Viaggio da molto tempo e ho affrontato il Giappone con la stessa curiosità con cui affronto ogni mio viaggio. Ma non ci si libera così facilmente di questo paese. Quando sono arrivata a Tokyo ho rivissuto esattamente l’esperienza di Chihiro quando approda ne ‘La Città Incantata’.

Ero lì, non sapevo esattamente come/dove/quando, la mia famiglia lontana non poteva fare niente e vedevo chiaramente che quel mondo in cui stavo entrando era strambo, inquietante, ma allo stesso tempo affascinante e bellissimo.

Come Chihiro mi sono addentrata sola nel cuore di Tokyo e mi sono sentita non appartenere a quel luogo, la sensazione è davvero strana, ma poi conoscendo le persone, osservando e visitando i luoghi, l’idea diventa più chiara anche se non del tutto limpida.

Questa impossibilità di capirlo completamente è il fascino più grande del Giappone.

Perché noi occidentali siamo agli antipodi di tutto questo, no migliori, no peggiori, ma semplicemente agli antipodi. Noi vogliamo concetti, idee, risposte precise, in Giappone tutto è una sfumatura e le sfumature sono tutto. In Giappone ciò che conta di più è il non detto, che lascia aperte mille porte all’immaginazione.

E non vi capita di pensare che i film dello Studio Ghibli siano proprio così? Diversi? Belli, affascinanti e allo stesso tempo bizzarri? Non vi fanno venire molti dubbi sul fatto che li abbiate capiti o meno? Ogni volta che rivedo ‘Il castello errante di Howl’ io mi faccio mille domande.

Torniamo a noi e alla nostra serata che ci porta direttamente in Giappone, perché ora noi abbiamo voglia di sfumature giapponesi. Vedremo ‘La storia della principessa splendente’ del regista Isao Takahata e le cose da dire sono moltissime.

Questo film è stato candidato all’Oscar per il miglior film d’animazione lo scorso febbraio (2015), Oscar vinto da ‘Big Hero 6’ che – non so se avete visto – in effetti era un avversario davvero tosto.

È il quarto film dello Studio Ghibli a essere nominato agli Oscar dopo ‘La Città Incantata’ nel 2003 che poi l’Oscar lo ha anche vinto (e stravinto se pensiamo che nello stesso anno era candidato un film diventato classico come ‘L’era glaciale’), ‘Il castello errante di Howl’ nel 2006 e ‘Si alza il vento’ nel 2014. È il primo studio di animazione ad avere ricevuto più nomination dopo Pixar, Dreamworks e Disney che giocano in casa. L’unica casa di produzione giapponese, tra l’altro. Tutto questo la dice molto lunga. E la dice altrettanto lunga che delle 4 nomination questo non sia un film di Miyazakisan, ma di Takahatasan.

Perché Takahata e Miyazaki non sono esattamente la stessa cosa. Diciamo che in comune ora come ora hanno solo lo Studio Ghibli, ma facciamo un passo indietro.

Takahata è più vecchio di 5 anni di Miyazaki, si incontrano negli anni ’60 alla Toei Animations e Takahata diventa il mentore di Miyazaki rendendo nota a tutti la sua abilità. Takahata è un rivoluzionario, rimane folgorato dalla cultura, dalla poesia e dal cinema internazionale e soprattutto da uno dei primi film di animazione francesi ‘La Bergère et le ramoneur’ che segna il suo percorso stilistico. Dovete immaginare che all’epoca i disegnatori e illustratori giapponesi erano estremamente influenzati da canoni disneyani e lui sceglie invece di andare controcorrente e usare questo film come punto di partenza per esplorare nuovi mondi da animare. Miyazaki invece proviene dalla cultura manga. Quando si incontrano Miyasan dimostra da subito grande abilità, Takahata grandi idee.

Lasciano la Toei insieme per via delle loro ambizioni artistiche e lavorano per alcuni anni alla A Production e realizzano le serie ‘Lupin III’ e ‘Heidi’, tra le altre e lavorano insieme a ‘Nausicaa della valle del vento’, Miyazaki regia e Takahata alla produzione dopodiché decidono che è ora di iniziare un progetto comune in cui lavorare entrambi alle proprie idee. Lo Studio Ghibli. E lavorano insieme a ‘Laputa, il castello nel cielo’.

Qui le strade si dividono, pur rimanendo sotto lo stesso tetto. Miyazaki sceglie di optare per la fantasia, l’immaginazione, il viaggio fantastico. Takahata invece sceglie un percorso neorealista. E l’esempio più lampante di questa completa contrapposizione accade nel 1988 quando i due registi presentano contemporaneamente i propri lavori: è l’anno de ‘Il mio vicino Totoro’ di Miyazaki e ‘Una tomba per le lucciole’ di Takahata. Se li avete visti capite bene quale abisso esista tra le due idee. Due mondi completamente diversi.

Takahata è crudo, non fa sconti per nessuno, prende la realtà e la descrive senza troppi fronzoli. Fa un’eccezione con ‘Pom Poko’ dove si tiene il leitmotiv dello Studio – l’ambiente – e usa i tanuki, animali mitologici giapponesi simili ai procioni, per denunciare l’eccessiva urbanizzazione.

Tutta questa presentazione era necessaria per capire la portata del film che vediamo stasera. ‘La storia della principessa splendente’ è tutta un’altra storia rispetto al Takahata precedente.

Voi tutti sapete che le sorti dello Studio sono incerte e questo ha tutta l’aria di essere un signor testamento della sua visione: studia la realtà, ne entra in profondità, si confronta con l’animo umano, con i ruoli sociali.

Non solo, Takahata ha da sempre mostrato una certa diversità di tratto rispetto al collega, ma in questo film canoni estetici di produzione dello Studio vengono completamente stravolti e oserei dire interrotti. Vedrete colori tenui, contorni tratteggiati a carboncino contro i colori forti, carichi e definitivi a cui siamo abituati.

Ci sono voluti ben 7 anni per completare questo lavoro e ne sono passati 15 dall’ultimo di Takahata (‘I miei vicini Yamada’) e se avete visto il documentario ‘Il regno della realtà e della follia’ avrete sicuramente intuito il forte stress a cui il regista è stato sottoposto per questo ritardo. Il film è stato continuamente posticipato, ma dal progetto originale sarebbe dovuto essere presentato in concomitanza con il film del “rivale” Miyazaki, ‘Si alza il vento’.

La scelta del soggetto è fondamentale e dibattuta quanto i tempi di produzione. Pare che il soggetto scelto inizialmente fosse molto violento e che dopo attente riflessioni e soprattutto discussioni all’interno del gruppo di lavoro, Takahata abbia scelto di omaggiare il racconto popolare del X secolo Taketori monogatari, ovvero il racconto del tagliatore di bambù. La parte splendida di questo film è il riuscire a superare addirittura la classicità della fiaba che ovviamente in Giappone è molto conosciuta. Ad uscire da suoi confini didattici, ma utilizzarla per esplorare l’animo umano, grande interesse di Takahata.

Insomma, abbiamo capito: è lento, pensieroso e non gli interessa edulcorare il contenuto, ma è profondo e propone dei risultati per adulti. Ed è proprio quest’ultima caratteristica ad avermi sempre molto incuriosito del Sol Levante, l’atmosfera è quella in cui un adulto può, è legittimato e forse deve avere delle passioni infantili, come i manga, come gli anime, le collezioni di action figure. In Giappone sono anche cose da grandi. Sono addirittura dei lavori pagati.

Ecco perché ci piace lo Studio Ghibli, perché propone sfacciatamente cose da grandi con il fascino ‘infantile’ dell’animazione. Non voglio svelare troppo del film, ma in questa Principessa Splendente troveremo una vera eroina come Nausicaa, come la principessa Mononoke, immersa nella natura, amante della natura, spensierata, dai forti valori etici.

Il film ‘La storia della principessa splendente’ è un vero contrasto: siamo di fronte a un disegno unico mai visto prima nei film Ghibli, ma allo stesso tempo a un manifesto dello Studio e dei suoi valori.

Troveremo molti spunti di riflessione e moltissime emozioni. Se questa fosse la chiusura dello Studio Ghibli, l’ultima opera, sarebbe veramente degna del suo ruolo.

 


 

Trailer de La storia della principessa splendente

ps. ho preso spunto da numerose fonti per scrivere questa presentazione, uno su tutti lo splendido libro di Valeria Arnaldi “Hayao Miyazaki. Un mondo incantato” che consiglio più che caldamente.

pps. Ci sarà sicuramente un post in futuro sul Museo Ghibli di Mitaka (periferia di Tokyo) e tutte le indicazioni necessarie per visitarlo. Magari insieme ad altri due luoghi simbolo dello studio che sono: l‘orologio della televisione NHK a Shimbashi (Tokyo) e la Mei & Satsuki House a Nagoya.

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